8 luglio 2012

La Versilia come l’Emilia? Il rischio-liquefazione è molto remoto ma teoricamente presente


Terremoto, che sta succedendo in Emilia Romagna? Il suolo sembra “vuoto” e le case è come se “galleggiassero”…


A proposito di “galleggiamento” sul suolo avvezzo a liquefazione, segnaliamo quest’articolo di Giampiero Petrucci sul rischio liquefazione in Versilia, con la spiegazione proprio del senso di “galleggiamento” delle abitazioni.

 **************************************

13 06 2012

La Versilia come l’Emilia? Il rischio-liquefazione è molto remoto ma teoricamente presente.

http://www.meteoweb.eu/2012/06/la-versilia-come-lemilia-il-rischio-liquefazione-e-molto-remoto-ma-teoricamente-presente/139410/ 

 Giampiero Petrucci, geologo viareggino, è da tempo nostro collaboratore: per Meteoweb ha tra l’altro curato la sezione dedicata agli tsunami italiani e ieri abbiamo pubblicato il suo interessantissimi approfondimento dal titolo “Perché l’Italia trema? Cause e rimedi dei terremoti che affliggono il nostro paese“. Esperto di monitoraggi ed attento osservatore dei fenomeni naturali estremi, ha notato diverse analogie tra il territorio emiliano teatro dei recenti eventi sismici e la Versilia, sua terra d’origine. Sollecitato da troppe voci discordanti ed allarmistiche in materia di terremoti, coglie l’occasione per esprimere le proprie opinioni.
Viareggio come Mirandola?
No, direi proprio di no. Via subito ogni equivoco, non sono un catastrofista né voglio suscitare allarmi infondati. Le condizioni tettoniche sono ben diverse. L’Emilia si trova in prossimità di una zona di contatto tra placche, la Versilia no. Però qualche analogia tra i due territori effettivamente esiste”.
Nel Pliocene la Pianura Padana era interamente sommersa dal mare così come il litorale versiliese
Quali sono queste analogie?
La prima è il mare. In Emilia nel Pliocene, cioè fino a 2 milioni di anni fa, c’era il mare che ricopriva quasi tutta la Pianura Padana. In Versilia, fortunatamente, c’è ancora”.
Dunque?
Il mare ha lasciato depositi generalmente sabbiosi, anche se in Emilia queste sabbie sono, per così dire, più impure causa le alluvioni del Po che in tempi recenti hanno portato in superficie altri apporti terrigeni, limosi ed argillosi. Nel territorio di Viareggio invece, lo dicono anche le numerosissime prove geognostiche eseguite nel terreno per realizzare le perizie geologiche associate ad ogni costruzione, le sabbie sono più uniformi e frequenti, soprattutto nella parte più litoranea e nella porzione più superficiale di terreno. Non dobbiamo poi dimenticare un’altra particolarità fondamentale”.
Quale?
Che nella zona versiliese in epoca romana il mare si trovava ancora a ridosso delle colline nell’entroterra, circa 3 km più a monte di adesso. Poi s’è ritirato progressivamente fino al livello odierno. La maggior parte dell’attuale territorio di Viareggio ancora nel XVI secolo era ricoperta dal mare o comunque da terreni paludosi. Un po’ come la Pianura Padana del Pliocene”.
Ma Viareggio è zona sismica?
Secondo l’ultima classificazione l’intero territorio comunale rientra sismicamente in classe 3 su una scala che va da 1 (la più pericolosa) a 4. Dunque, secondo la legge, è zona a pericolosità sismica bassa, che può essere soggetta a scuotimenti modesti. Ma anche numerosi Comuni dell’Emilia colpiti dal recente terremoto, compresi Mirandola e San Felice sul Panaro, rientrano, o meglio rientravano, in questa classe. E non è l’unica coincidenza”.
Quali sono le altre?
Le sabbie, questo è il problema. La stratigrafia, ovvero la composizione del terreno nei primi metri del sottosuolo, è similare. Sabbie fini, granulometricamente uniformi, piuttosto porose e poco addensate, con la falda acquifera molto vicina al piano campagna. Basta pensare cosa succede a Viareggio durante un nubifragio: spesso le vie si allagano, l’acqua defluisce con difficoltà perché appunto il terreno è saturo ovvero totalmente pieno d’acqua. Condizioni ottimali, direi quasi da trattato scientifico, per il teorico sviluppo della liquefazione”.
Esempi di liquefazioni tratti da De Martini et al., 2012 in stampa a) le macchie chiare corrispondono a vulcani di sabbia generati durante la sequenza sismica del 1810-1811 nella zona di New Madrid, Missouri, USA (Foto di S.F. Obermeier); b) vulcani di sabbia in un campo coltivato dopo il terremoto del 1979 nella Imperial Valley, California, USA; c) cedimento di un edificio dovuto a fenomeni di liquefazione prodotti dal terremoto del 1999 in Turchia (foto di A. Tertulliani); d) cedimento di numerosi edifici dovuto a fenomeni di liquefazione prodotti dal terremoto del 1964 in Giappone (foto della Collezione K.V. Steinbrugge)
Cosa è la liquefazione?
In questi ultimi tempi se n’è parlato molto, sui giornali, alla tv ed anche su MeteoWeb (vedi qui, e ancora qui, e pure qui e infine qui). Si tratta di un particolare fenomeno che può verificarsi durante un terremoto, raro ma ben documentato, sin dall’antichità. In certi documenti medievali si parla di “terreno trasformatosi in sabbia mista ad acqua bollente”, come ad esempio accaduto ad Argenta, provincia di Ferrara, nel 1624. Un altro esempio ben noto si sviluppò nella piana di Gioia Tauro, in Calabria, a seguito della celebre crisi sismica del 1783. In sostanza le scosse sismiche alterano l’equilibro del terreno sabbioso dove si annulla la resistenza al taglio cioè la capacità di sopportare sforzi che nei terreni incoerenti (quali appunto sabbie e limi) è dovuta esclusivamente all’attrito tra i singoli granuli. In pratica viene superato il cosiddetto limite di rottura. In queste condizioni, complice la presenza di acqua, il terreno si fluidifica ovvero tende a comportarsi come un liquido od una massa viscosa. L’acqua risale velocemente fino alla superficie, quasi ribollendo. Provate a mettere in un secchiello sabbia molto bagnata. Lasciatela riposare qualche secondo, poi scuotete il secchiello ripetutamente: vedrete l’acqua arrivare a giorno. Ecco, questa è la liquefazione, uno dei fattori più tipici di amplificazione degli effetti di un evento tellurico”.
Quanto è pericoloso questo fenomeno?
Dipende moltissimo dalle situazioni puntuali in cui si esplica. In aperta campagna, come accaduto in Emilia, non lascia strascichi particolari. Ma in città sì. Soprattutto dipende dall’edificio sotto il quale si verifica, dalle sue condizioni, dalle sue modalità di costruzione e purtroppo a Viareggio deteniamo un record”.
Quale?
Quello delle taverne o cantine. Molte ville e villette costruite dagli anni ’70 fino ai primi anni ’90, in maniera talora scriteriata e senza il supporto della perizia geologica (che allora non era obbligatoria come adesso), posseggono un piano seminterrato che spesso ricopre l’intera area del fabbricato e talora arriva anche fino a tre metri di profondità. Le fondazioni sono dunque come una scatola, con un ampio rettangolo di cemento armato alla base. Questo tipo di fondazioni è detto a platea ed è il peggiore in caso di liquefazione del terreno”.
Perché? 
Perché l’edificio si trova completamente immerso nella falda acquifera e quando l’acqua risale è come se galleggiasse, come una zattera, su un fluido. Poiché spesso gli edifici di cemento armato sono progettati in maniera asimmetrica, il fabbricato galleggiante non è in equilibrio, tende ad inclinarsi da una parte e talora a ribaltarsi, con conseguenze facilmente immaginabili”.
Uno scenario apocalittico
Non esageriamo. Questi sono casi-limite, teorici, che abbiamo studiato all’Università trent’anni fa. Abbiamo però visto anche di recente come, sia pure in situazioni rare e molto particolari, il fenomeno possa effettivamente verificarsi. Ed il rischio, per quanto molto remoto, voglio ribadirlo, esiste teoricamente anche in Versilia perché è collegato pure ad altri fattori”.
Quali?
I palazzi di 8-10 piani, se dotati di fondazione a platea, sono potenzialmente più esposti agli effetti della liquefazione rispetto ad una villetta. Proprio per questo i nostri professori dell’Università, rimasti poi inascoltati, raccomandavano di costruire in Versilia edifici non troppo alti. A Viareggio, anche sul viale a mare, esistono invece numerose costruzioni con queste caratteristiche, pure in periferia dove negli ultimi trent’anni si è abbondato con l’innalzamento di veri e propri casermoni. Ma l’aspetto più problematico risiede in Garfagnana, la zona sismica per eccellenza della Provincia di Lucca. Molti suoi Comuni sono in classe sismica 2. Negli ultimi 200 anni l’alta Valle del Serchio è stata teatro di diversi terremoti con magnitudo superiore a 5. Il più disastroso è datato 7 Settembre 1920, quasi 200 morti, diversi paesi distrutti. Un altro, di magnitudo 5.7 e dunque simile come potenza a quello emiliano, si verificò nel 1914 e l’epicentro fu posizionato ad appena una ventina di km da Viareggio. Un evento analogo potrebbe teoricamente, ripeto teoricamente, gettare le basi per lo sviluppo della liquefazione su tutto il territorio versiliese dove, come d’altra parte nel resto d’Italia, ben poco è stato fatto per ovviare agli inconvenienti sismici”.
Di chi è la colpa?
Dei nostri politici, prima di tutti. Della loro trascuratezza nei confronti dei problemi ambientali e della salvaguardia dei cittadini. Abbiamo costruito troppo e male, soprattutto durante il boom degli anni ’60 quando c’era fame di case per tutti. Soprattutto abbiamo costruito anche là dove non si doveva: sulle faglie, su frane quiescenti, alla base di rupi o pendii, sulle rive del mare, perfino negli alvei dei fiumi. Soltanto dopo le grandi tragedie, corriamo ai ripari. Dopo Friuli ed Irpinia qualcosa è stato fatto, ma troppo poco e non sempre in maniera adeguata. La colpa non è certo della Protezione Civile, tra le migliori del mondo per efficienza ed organizzazione (grazie anche ai numerosi volontari) negli interventi del dopo, soprattutto adesso che sono finiti i grandi eventi e le spettacolarizzazioni. Il nostro problema è il prima, la prevenzione. Lì siamo veramente troppo carenti: se e quando le leggi esistono, spesso non vengono applicate oppure, ancora peggio, non si verifica la loro applicazione sul territorio. E la colpa è anche del Consiglio Nazionale dei Geologi che non riesce a far capire quanto la figura del geologo sia fondamentale per la salvaguardia del territorio. Purtroppo siamo “professionisti di serie B”, da sempre ostaggi di ingegneri ed architetti i quali, quando sono obbligati a chiamarci per una perizia, storcono sempre la bocca e spesso dicono che non serviamo a niente o che costiamo troppo. Poi però, quando la terra trema, si ricordano di noi, polemizzando sulla previsione dei terremoti o sulle alluvioni annunciate. E poi ci stupiamo se ogni anno dobbiamo piangere decine di morti per eventi naturali. Un paese civile non si comporta in questo modo: la salvaguardia dei cittadini e del territorio dovrebbe essere una priorità assoluta. Invece, purtroppo, in Italia non lo è mai stata seriamente, a prescindere da chi ha governato”.
Quali rimedi suggerisce?
Non sono così esperto da avere soluzioni, posso solo commentare ciò che vedo. Si dovrebbe chiedere agli ingegneri, soprattutto agli strutturisti, e dare maggior peso alle opinioni dei geologi. Certo è che ogni edificio ha una storia a sé. Il terreno, soprattutto in Versilia dove non mancano pure zone di bonifica, può cambiare ogni metro e variare dunque repentinamente la sua resistenza al taglio così come la risposta all’attraversamento di un’onda sismica. Ecco perché si dovrebbe organizzare una verifica territoriale più capillare: ciò può certamente essere eseguito con le nuove costruzioni che, grazie a tecniche antisismiche innovative, possono resistere a sismi anche di magnitudo elevate. Il grandissimo problema sono le costruzioni esistenti, soprattutto quelle degli anni ’50 e ’60 che a Viareggio, ed in molte altre parti d’Italia, sono veramente parecchie. Inoltre molti Comuni sono stati classificati sismici soltanto dopo il 1984: prima di questa data tutto era permesso in fatto di costruzioni e molto lo è stato anche fino al luglio 2009 quando, finalmente, è entrato in vigore il nuovo decreto Norme Tecniche di Costruzione, un vero cambiamento epocale in materia di edilizia in aree sismiche. Rimane però il fatto che oggi sul territorio nazionale esistono milioni di edifici, pure pubblici, che non conoscono alcuna protezione sismica. Teoricamente, per salvaguardarci veramente, dovremmo riverificare le condizioni strutturali di ogni edificio, gestendolo tramite una specie di carta d’identità che lo accompagni dalla nascita alla morte, proprio come un nostro documento personale. Oppure realizzare mappe multilivello in funzione della profondità, in modo da conoscere esattamente le caratteristiche del sottosuolo su cui vanno ad innestarsi, o sono già innestate, le fondazioni di ogni fabbricato in modo da prendere gli opportuni accorgimenti antisismici. Ma ovviamente è utopia. Anche stavolta accadrà poco o niente, ci rivedremo alla prossima catastrofe. E probabilmente faremo gli stessi discorsi”.

Nessun commento:

Posta un commento